mercoledì 24 settembre 2008

VLADIMIRO CICOGNA - Cap. IV

Un giorno fui chiamato dal direttore di dipartimento. Ignoravo la ragione della chiamata anche se, oscuramente, era come se me l’aspettassi. Sedetti davanti alla sua scrivania, con un’aria insonnolita anzichè preoccupata come si conveniva, data la situazione; gli impiegati venivano chiamati raramente, ed il fatto che fossi stato convocato proprio io non era sicuramente un buon segno. Il direttore di dipartimento esordì con queste parole: “Caro Cicogna, io e lei, almeno per quanto io possa ricordare, non abbiamo mai avuto il motivo, o meglio, l’occasione per vederci ... e ciò spesso rappresenta una perdita perchè tra gli impiegati ci sono delle persone magnifiche, con le quali è possibile spendere pochi minuti in conversazioni di reciproca utilità ... Però ... il lavoro è il lavoro ... e sia io che lei abbiamo una mansione da svolgere giornalmente, per la quale può essere difficile venire incontro alle questioni, diciamo, più squisitamente personali. Non so se lei intende quello che voglio dire, ma presumo di sì, data la mia confidenza nella sua intelligenza e sensibilità. Nella mia funzione di capo – perdoni l’indelicatezza del termine – una delle mie principali preoccupazioni è ... assicurarmi che gli impiegati, ed in generale tutto il personale di questo dipartimento, si trovino a proprio agio con la struttura e ... l’organizzazione del lavoro. Sicuramente lei mi intende, ma mi faccio un mio dovere di precisarle che spetta a me, come da regolamento, vigilare sulla serenità dei dipendenti ... la serenità come prerequisito per l’armonioso adempimento delle loro mansioni. Questo vale per gli impiegati – quindi per lei – ma anche per me. Veda ... ad essere precisi il regolamento non indica espressamente questo compito, ma esso è così compiutamente definito nel suo corpo di regole che non è possibile non ricavarne, da una minuziosa interpretazione, anche quest’ulteriore prescrizione di buon senso. Una macchina garantisce un funzionamento soddisfacente e sempre rispondente alle sue caratteristiche tecniche se ogni sua parte, anche il più piccolo ingranaggio, viene sempre mantenuta in ordine: solo così l’insieme produrrà un funzionamento efficiente!”

Qui il suo discorso, che da principio aveva assunto un tono eccessivamente confidenziale, si stava facendo minaccioso, quasi a sottolineare il fatto che si stava toccando l’argomento principale del colloquio. Ed io ero sotto esame, non un semplice interlocutore. Poi continuò: “Mi rendo conto che il servizio che la comunità chiede a questo dipartimento possa risultare gravoso. Ma non dobbiamo mai perdere di vista il fine ultimo dei nostri sforzi, che è la sicurezza sanitaria dei cittadini!” e, in questo passaggio, alzò improvvisamente la voce, tanto che io non afferrai se stesse parlando in una specie di trance oppure se fosse arrabbiato nei miei confronti. “E’ questa la considerazione che ci deve guidare nelle nostre azioni quotidiane, sul luogo di lavoro, ed è questa la considerazione che mi deve, e dico deve, indurre a cercare ostinatamente di perseguire, con ogni mezzo – lecito s’intende –, la serena industriosità degli impiegati! Insisto sulla parola serenità, perchè essa è la condizione essenziale per il corretto – e produttivo – svolgimento del lavoro qui dentro.” Sembrava un rimprovero in piena regola. Io lo avevo capito dal susseguirsi dei toni del suo discorso, più che dal senso stesso delle parole con cui mi stava inondando. Anche perchè, dalla finestra alle sue spalle, si aveva una visione privilegiata del balcone con la donna ed io, da qualche minuto, stavo sperando che lei uscisse e trascuravo il discorso del direttore del dipartimento.
“Veda Cicogna, io le sto offrendo il mio umile servizio! Le sto chiedendo di dirmi se c’è qualcosa, qualunque cosa, che la turba in ufficio; se posso usare le mie prerogative per agevolarle il compito, per farla sentire più a suo agio. Non se lo faccia ripetere, si senta piuttosto invitato a chiedermi cosa io posso fare per lei! Perchè se lei è sereno, sarà di conseguenza concentrato sul suo lavoro ...” qui si soffermò un attimo “... e tutti avremo da guadagnarne! Non è necessario che io le sottolinei questo concetto, del tutto scontato!”. Poi si fermò a guardarmi, con gli occhi che mi fissavano al di sopra degli occhiali, baldanzosamente inforcati sopra il suo naso da cavalleria. Stette in quell’atteggiamento per qualche secondo, io pure ero immobile che scrutavo dietro di lui, oltre la finestra, nella speranza dell’affacciarsi della donna. Non uscì. Come un colpo di frusta, mi sentii chiedere: “Vuole aggiungere qualcosa alle mie parole, caro Cicogna?”. Quel ‘caro’, in realtà, concentrava in sè tutti gli insulti del mondo, in tutte le lingue. A quel tono interrogativo, mi riebbi dalla mia contemplazione, ritornai in quella stanza. Risposi: “Scusi?”.

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