martedì 29 marzo 2011

Lettera d'amore all'antenata


Vedo nei grigi soffusi del tuo viso in penombra il delicato racconto di un'altra vita, una presenza anteriore che cova nelle ceneri di uno sguardo spaurito. Era bella, sembra bella, e mi confonde con il suo mistero di musa mai conosciuta. Il suo volto è l'intreccio di mille immagini che hanno fatto si che tu fossi qui davanti a me, ora. Quella donna non conosceva pause nel suo modo di camminare, era lenta, costante, come una pausa di pianoforte tra due note alte. I suoi sforzi erano la pazienza e la forza della sopravvivenza, di una presenza debole e coraggiosa. Quegli occhi nerastri avevano perso tutto, ma volevano solo vedere più oltre l'orizzonte per cercare di uscire fuori dal groviglio della miseria. Era la fuga, era la volontà dell'amore che la spingeva a resistere alle angherie, ai morsi della fame, alle storture di un'esistenza monotona e desolante. E quando le stagioni si ripetevano uguali nella delusione delle speranze disattese, lei diventava ancora più minuta ma più bella: quella bellezza scaturiva da un gesto semplice, di un pettine passato con misurata lentezza tra i capelli anneriti dalla fuliggine del suo rifugio ed irrigiditi dall'umidità di un'aria cattiva.
Che ne sarà di lei ora che tu mi volti le spalle frugando altrove quelle risposte che io non ti ho potuto dare? Quel gesto, del cappello indossato all'incontrario e calcato sulla fronte, con un ciuffo che spunta all'infuori, mi congeda dalle mie responsabilità di persona evanescente. E mentre mi ripeto in un salmo di fedeltà inutile, quasi un auto da fé, il tuo nome, cerco invano di cogliere l'essenza dell'altra, della presenza nascosta che va via con te, l'unica donna forse che abbia mai amato veramente e che mai un passato da me non conosciuto mi restituirà.

martedì 15 febbraio 2011

SINDONE


Alla fine quando lui non ci sarà più fisicamente, perchè tutto è dest‌inato a crollare, anche gli edifici apparentemente più solidi, saremo costretti ad ammettere che ha vinto lui, comunque. E questa constatazione mi è molto amara.
Sto parlando di Berlusconi; e nel momento stesso in cui scrivo quello che ormai è diventato quasi un sostantivo indeterminato - e inevitabilmente lo pronuncio pure mentalmente - aggiungo un'altra ripetizione ad un'eco che si perpetua ovunque da quasi vent'anni. Da più di vent'anni. Non passa giorno senza che questo termine non venga invocato almeno una volta in nostra presenza e parlo al plurale perchè mi sento accomunato, in questa pittima, allo stato di una collettività. Io vivo in un paese che si trova come un malato mentale in un'angusta cella di manicomio, stretto nella camicia di forza e con la mente fissa su un'ultima immagine fatale. La fissazione, come chiave delle nostra comune condizione. Io non voglio ora fare necessariamente un discorso di parte, perchè anzi questo sarebbe scontato, considerando i valori politici ai quali mi sono sempre ispirato. Osservo che la società in cui vivo continua a vivere alienata, al di fuori della propria esistenza, dei propri problemi, perchè tutti si devono dividere su quanto sia ingiusto il berlusconismo e su quanto esso vada combattuto senza tregua, a cominciare dal proprio supremo esponente, oppure su quanto sia grande e reiterata all'infinito la persecuzione che lo insegue implacabilmente da tutti questi anni. E la divisione si inasprisce e quell'unico epicentro continua, volontariamente o involontariamente, a catalizzare i movimenti di ogni singola opinione. Dunque, indipendentemente dal giudizio di merito, positivo o negativo - ed il mio è drammaticamente negativo come il più disperato dei conflitti - lui ha vinto, perchè ha tenuto, sistematicamente, attraverso più generazioni - potremmo dire un'epoca - avvinghiata a sè tutta una società. Ha tenuto avvinghiati a sè quelli che gli si sono concessi e che hanno cercato di ottenere quanti più benefici possibile, attraverso l'antico mestiere della pratica cortigiana, che i giullari fanno per compiacere il loro signore, pur di arraffare poche briciole del suo potere. Ha tenuto avvinghiati a sè anche quelli che lo hanno strenuamente combattuto, alcuni per l'ispirazione di principi non negoziabili, altri semplicemente per il desiderio di espugnare il castello, scardinare il trono e rendere la fonte del potere un traguardo alla portata di una maggioranza di pochi, di un'oligarchia. Ha tenuto avvinghiati a sè anche coloro che non hanno ricevuto nessun sensibile beneficio dalla adorazione sincera o di facciata nei suoi confronti, i quali in molti casi hanno addirittura visto ridursi le loro speranze di benessere, per colpa delle politiche o dell'assenza di politiche da lui messe in atto. Ha tenuto avvinghiati a sè anche coloro che hanno masticato amaro, per colpa dell'impoverimento, materiale e culturale, che, come il morbo di un untore, si è allargato a vasti strati di società. L'impoverimento materiale non è stato meno grave di quello culturale, dell'arretramento di fronte all'etica del bene comune, anzi mano a mano che ci si è impoveriti, mano a mano che la speranza di solidità del futuro, del proprio futuro ma anche di quello della comunità, si restringeva, mano a mano che tutto ciò avveniva, cresceva anche il desiderio di rompere le maglie della trama sociale. Cresceva il desiderio di diventare più duri di chi ti stava intorno, soprattutto più furbi. Un'interpretazione deteriore del principio di evoluzione che voleva sempre più forte l'individuo, sempre più debole la catena delle relazioni.
Purtroppo non finirà con lui, perchè il berlusconismo non finisce con l'individuo Berlusconi. Certo questo avverrà al termine di una lunga e dolorosa agonia, in cui da opposte barricate si ergeranno campioni che si urleranno contro opposti aggettivi, mentre il capo, ormai avulso dalla realtà, continuerà a sussistere soprattutto nelle loro menti. La corruzione è stata la cifra di questi anni e lo è tutt'ora: non mi riferisco solo a tangenti, compravendite di oggetti e volontà. E' soprattutto la corruzione della capacità di giudizio che, di fronte a chiari sintomi di decadenza, di bruttezza, di deterioramento, di rapacità, di violenza, di mostruosità, di imbarbarimento, mi portano a combattere contro mio fratello per essere ancora più decadente, deteriore, violento, mostro, barbaro. E' come trovarsi in una casa che sta bruciando e, anzichè correre a prendere i secchi d'acqua, quanti più secchi è possibile, dandosi una mano tutti insieme, ci si lancia addosso tizzoni infuocati, perchè alla fine devo essere io a rimanere per ultimo sotto il soffitto che sta per crollarmi in testa. E non mi fa star meglio la convinzione, non la speranza, la convinzione, che il giudizio degli storici sulla mia epoca sarà inesorabile, che tutti quei fatti che ora si fa finta di non vedere o di ignorare deliberaratamente saranno fin troppo chiari a chi si limiterà ad esaminare da lontano nel futuro le convulsioni della società italiana di questo periodo. Con la caduta del boss, ci saranno moltissimi, come me, che assaporeranno, in un fugace momento di felicità, il sapore dell'aria fresca, come succede quando in una camera d'ospedale, troppo a lungo popolata da ammalati durante l'inverno, viene spalancata la finestra per far cambiare l'aria. Dopo i primi istanti di soddisfatto smarrimento, subentrerà la desolazione di chi osserva la città piena di macerie dopo il bombardamento a tappeto e con sgomento si rende conto di quanto immane sia l'opera di ricostruzione. Immane perchè gli spiriti animali continuano ad abitare negli occhi che si fissano con diffidenza e nei denti di chi non riesce a parlare perchè serra le mandibole per la rabbia. Ecco perchè ha vinto comunque lui. Siamo come avvolti da un lenzuolo in un obitorio, dove il tempo si è fermato.