sabato 13 settembre 2008

1 commento:

fedemaz ha detto...

Del taglio della carne.


Macelleria. Entra una donna, leggermente affannata, posa l’ombrello all’ingresso. Dietro il grande bancone rilucente di bianco e rosso troneggia Bruno, il macellaio.

Donna: Buongiorno, Bruno!
Bruno: Buongiorno a lei! Tutto a posto?
D: grazie, sì, a parte la pioggia…
B: che le do?
D (guardando dentro il bancone, indecisa): ma…non saprei… vediamo…. Mi dia un petto di pollo tagliato a dadini.
Bruno la guarda con disapprovazione.
D: e su! Perché mi guarda così? È comodo, ho gente a cena.
B: e come lo fa?
D: con il curry e le mandorle.
B (rassegnato): vabbè.
D (titubante): …o altrimenti?
B: quanti siete?
D: quattro.
B: ma allora perché non prende quattro belle bistecche! Guardi là. Chianina, bellissima. Me l’hanno portata questa mattina. Non sto scherzando, si fida di Bruno? È buonissima… Guardi, io l’ho presa pure per me… E poi ce mette un attimo. Cinque minuti, sulla piastra.
D (un po’ indecisa): va bene…
B: si fida di Bruno? Si deve fidà! Domani mattina me lo viene a dire.
D: D’accordo.
Bruno affila un coltello che è più una mannaia, tira su il braccio muscoloso in una mossa elegante, poi affonda un taglio possente come se affondasse una bracciata in mare. Arriva all’osso, tira nuovamente su il braccio, questa volta in una posa vibrante, un attimo di sospensione, poi la lama cade con violenza, l’osso si rompe con un rumore sordo. La donna lo guarda affascinata.
D: mamma mia, Bruno….
B: che c’è?
D: che decisione!
B (animandosi): e per forza! Se no l’osso non se rompe, se scheggia. Bisogna mettece forza, determinazione.
D (in un sussurro): come con la ceretta!
B (ridendo): ah ah ah! Te ce scherzi! Io l’ho visti, al supermercato, quei ragazzetti che non so’ capaci di affettà il prosciutto a mano. Iniziano a tagliare con la macchinetta, poi quando arrivano all’osso vanno in crisi. Là è una questione di mano. Taja’ la carne è un arte. Bisogna togliere tutte le parti che non servono, prepararla. Pulirla. E poi un bel colpo, dato con decisione. Te ce ridi, ma il taglio è tutto! Una bistecca se non è tagliata a regola non è più una bistecca. Cuoce male, non va bene. Il taglio della carne è cultura, che te credi? Ridi? Senti a me. Prendi la carne argentina. Tutti che vojono la carne argentina. E che è mejo della nostra? Mejo della Chianina? Macchè! Te lo dice Bruno. Non è meglio. È che loro, gli argentini, c’hanno altri tagli. La carne è quella, le bestie so’ quelle, o no? So’ le stesse, solo che loro le tajano in un altro modo. È cultura!
D (rapita): e certo! D’altra parte è una tradizione così antica. A partire dalla caccia… La sopravvivenza… Mors tua, vita mea…
B: … e allora lo vedi? Lo vedi che vieni a me? Il pollo che volevi prendere tu… Non dà soddisfazione, un pollo. Un pollo lo puoi anche spezzare con le mani. Se rompe. Il vero lavoro è quando devi usare il coltello. Quando c’è l’osso. Lì c’è l’arte.
D: eh già, come i combattimenti con i tori, nelle arene…
B: Solo che bisogna saperlo fare. Bisogna saperlo fare, attenta! Io a mio figlio gliel’ho insegnato subito, a tagliare. Forza! - gli dicevo -, un taglio netto, giù! Non avere paura! Non ci girare intorno! Prima preparala per bene, togli il superfluo, il grasso in eccesso – là devi lavorare di fino. Ma quando è pronta, giù, di netto! Come con le storie, no?
D: le storie?
B: come con le storie d’amore, no? Ce puoi girà intorno quanto te pare, lavorà in punta, aggiustà, abbellì… Ma quando arriva er momento che devi taja, devi taja de netto! O me sbajo?
D (pensierosa): eh no, no, non ti sbagli…
B: M’hai capito? Mica fa piacere a nessuno restare appeso per un tendine, per un fascetto muscolare, per una striscia di carne sanguinante. Non fa piacere alle bestie, figuriamoci alle persone. O no?
D: eh no, certo… è una metafora azzeccata. Ce ne fossero, uomini come te…
B: e che te diceva Bruno? Io a queste cose ce penso, sa…
Nuova sospensione del braccio, curva perfetta del gomito, la donna trattiene il fiato, ammaliata, il colpo viene sferzato, la bistecca cade morbidamente sulla carta per alimenti, come se svenisse.
Squilla il telefono. Bruno, scusandosi, si pulisce le mani sul grembiule venato di rosso e prende il telefono senza fili, se lo appoggia alla spalla e risponde.
B: pronto?.... (improvviso imbarazzo) sì, dimmi…. Sì…. Che ho preso? Le bistecche…. Eh?... (Bruno si sposta verso il fondo) …Cos’altro…?..... Niente…No, sì, anche altra roba…. Eh?..... Sì, sì… Sì, ci sta…. Eh?... E come non posso parlà, certo che posso parlà…. No, mica sto urlando… No, niente…. Sì, te lo porto…. Ti dico di sì….E vabbè, ne porterò due…. E no, lo sai che qui non ce l’ho…(esasperato) ..E dove la vado a prendere la panna per stasera… Vabbè! Vabbè, mo’ ce penso io… Ma quello no…(quasi in un rantolo)… Dicevo – sì, che posso parlà! -, dicevo il…(sbottando)… Il curry no, però! Il curry dove lo trovo, alle otto di sera? Non è che urlo, è che… Va bene, va bene, non preoccuparti, ci penso io, stai tranquilla, ci penso io. Sì, pure alle… Alle mandorle, sì… (con progressiva rassegnazione) … Sì… Sì… Sì… Ora ti saluto, però, che ci sono dei clienti. Alle otto e mezza… Sì, traffico permettendo, piove… Sì… Ciao.

Bruno, lentamente, posa il telefono. Si volta. Sembra improvvisamente più basso. Lui e la donna si guardano, confusi.
Buio.