mercoledì 22 settembre 2010

Brian Wilson reimagines George Gershwin


Ho ascoltato questo album con l'ingorda speranza di ritrovare il timbro del genio che avevo imparato ad amare dapprima in Pet Sounds e poi in Smile. Ecco, la mia cupidigia è stata soddisfatta, era come abbeverarsi ad una botte di vini nobilissimi.
Io sono un beatlesiano, direi quasi "duro e puro", ma ho anche profondamente amato i Beach Boys. Con la differenza che mentre nei Fab Four c'erano almeno due extraterrestri, nella band dei fratelli Wilson, il genio incontrollabile di Brian era distante anni luce da tutti gli altri.
La musica di Brian Wilson, la sua volontà di sperimentare forme inconsuete, le distanze che riesce a coprire la sua ispirazione, mi fanno venire in mente la potenza stordente del barocco migliore. Se dovessi trovare un paragone visivo con questi suoni, mi verrebbe in mente ... Roma, la città in cui vivo, con la sua lunga fascinazione di forme barocche.
Sono tanti gli esempi di vecchie glorie della musica pop che hanno voluto ingaggiarsi con i classici: la maggior parte mi ha sempre dato l'impressione di farlo per capriccio, di volersi togliere il classico sfizio, di chi, avendo raggiunto certe vette di popolarità, ritenesse quasi che gli spettasse come tributo di dare certe prove di sè. E gli esiti sono stati quasi sempre deludenti, perchè è difficile aspettarsi che Roger Waters possa cimentarsi con l'Opera con la stessa prorompente sincerità di The Wall.
Per Brian ri-immaginare George Gershwin è stata un'operazione naturale, perchè in lui rimane sempre immutata una caratteristica presente nella sua musica sin dagli anni sessanta: l'aspetto ludico della frase musicale, della interpretazione o re-interpretazione, come in questo caso. Brian, anche quando costruisce edifici musicali complessissimi, dà l'impressione di uno stato d'animo divertito, mai drammaticamente angosciato. E qui l'accostamento a Smile è ovvio: anche di fronte al Gershwin "da surf" ho immaginato come di stare visitando un castello fatto di stanze impreviste piene di gradite sorprese.
Eppure la vita di Brian è stata tutt'altro che facile o fatta di scintillii di allegria: forse perchè troppo geniale ed anticonvenzionale, ha conosciuto il dolore della segregazione, della malattia mentale, dell'ossessione di non riuscire (nella percezione che aveva della sua musica) a non raggiungere i suoi obiettivi. Nei Beach Boys, nell'ultimo periodo, si sentiva isolato rispetto al resto della band.
Era troppo avanti rispetto alle concezioni del suo tempo e quando uscì Pet Sounds (era il mitico 1966) il mondo della musica non dette il giusto rilievo alla grandezza di quell'album. Se Brian fosse stato più cattivo, più spregiudicato ed avesse trovato anche dei compagni di viaggio con un briciolo della sua follia, forse ora non considereremmo Sergent Pepper's come quella grande tappa miliare nella storia della pop music che sicuramente è, ma al suo posto staremmo parlando di un album dei Beach Boys, magari proprio di quello Smile che è uscito più di trent'anni dopo che l'autore ne aveva avuto l'idea iniziale ma che non ebbe seguito soprattutto perchè quei suoni erano troppo "difficili" per poter essere proposti/eseguiti durante un concerto dal vivo. Ecco Brian non riuscì a battere i Beatles sul tempo, e credo che questo gli sia pesato negli anni sessanta (soprattutto con il senno di poi).
Da quando Mister Wilson ha rotto il silenzio dell'isolamento in cui si trovava, con l'uscita di Smile nel 2002, è stato come se il cielo si colorasse di nuovo di bellissimi fuochi d'artificio. Ora che si cimenta con Gershwin e ritroviamo la stessa voglia di divertirsi, siamo tutti più contenti, perchè, diciamo la verità, è bello cullarsi nell'onda di questi suoni gioiosi, delle armonie vocali inimitabili, nello splendore di questa musica ... barocca appunto.

Benritrovato Brian, cento di questi album.

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