mercoledì 8 aprile 2009

ABRUZZO 2008 – RIMEMBRANZE

Era di Luglio, gioiosa settimana trascorsa con gli amici nel monastero di Santo Spirito, a Ocre: una finestra piacevole, le note di tango, i passi, prima svelti, poi stanchi, facevano da contorno ad uno stato dell'anima dolce. C'era nell'aria, dentro e fuori di me, una predisposizione all'accoglienza, all'abbraccio; molto di questo dipendeva dal trovarmi in un nido di esseri affini, l'atmosfera generale era di empatia, anche se forse l'oblio del ricordo, l'indefinitezza di alcuni tratti rende liriche delle cose, che in quel momento non venivano percepite così.

Il tutto avveniva in una distesa di paesaggio, quello dell'Abruzzo centrale, parco naturale Sirente-Velino, con cui non riuscivo a fraternizzare. Troppo duro e crudo era il sole che si riverberava sui sassi e sugli steli di erba secca, ingiallita, troppo preponderanti erano le ombre che le nuvole, costantemente di passaggio, in una terra levigata dai venti, proiettavano sulle distese di piano, oppure sui fianchi delle colline. Poi c'era in lontananza il Gran Sasso, terribile nella sua imponenza: quella natura non si accordava con le mie origini di contadino vicino al mare, giù sulla costa pugliese. Poi c'erano i luoghi e le persone, e sia i luoghi che le persone erano di una fisionomia diversa, intagliati nella pietra gli uni e le altre, rugosi, cotti dal sole ventoso. Ecco, lì sentivo come un abisso la differenza tra gli scenari costieri impressi nella lastra della mia mente e le corde ruvide, montagnose, ostinate di quella gente. Nello stesso tempo si avvertiva, da come ti guardavano, dalle loro parole secche, pur'esse erose, che c'era un potente tumulto, come un suono ancestrale, misterioso, in quei volti, in quelle parole, in quegli sguardi, come un metallo pulsante, sepolto sotto parecchi strati di argilla indurita, sempre per colpa del sole ventoso.

Una persona di mare, come me – cresciuta con certi profumi di salsedine nelle narici, con il senso dell'indefinito blu, anche quando la città copre tutto l'orizzonte ed il mare è solo immaginato, indovinato – queste sottigliezze le avverte subito, anche senza saperle immediatamente spiegare. E' un codice diverso. Oggi il cuore dell'Abruzzo è sgretolato, i corpi spezzati ed il sangue versato sull'asfalto: questa parte di terra reca le offese di una guerra subita, non combattuta, non capita. Quel metallo sotto l'argilla e il granito si scopre improvvisamente arrugginito. Io davanti a una piena di immagini di rovina mi sforzo di filtrare le sensazioni e le percezioni. Però mi sento inadeguato. Ed anche colpevole.

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